Quando l’aiuto non richiesto diventa invalidante

 

Terrorizzati dall’idea che il proprio figlio possa sperimentare qualsivoglia forma di sofferenza, seppur lieve e transitoria, i genitori moderni possono concepire interventi educativi talvolta deleteri per il benessere e la salute psicologica del figlio.

Accade sempre più frequentemente che il genitore si ritrovi irretito nella trappola del modello familiare iperprotettivo, al quale giunge spinto dal senso di colpa per un possibile trauma inflitto al proprio figlio, minacciato dal giudizio del moralista di turno o influenzato dall’improvvisato non-psicologo specialista.

Mi riferisco ad una organizzazione familiare orientata esclusivamente alla protezione del figlio da ogni possibile forma di disagio, dispiacere, frustrazione e sconfitta. A tale scopo i genitori si attrezzano di soluzioni che ne soddisfino ogni bisogno, prima ancora che la necessità sia espressa. Con i radar perennemente sintonizzati sul bambino, sviluppano abilità olimpioniche nello scattare prontamente ad ogni sua esigenza affinché ogni desiderio sia realizzato con immediatezza assoluta, arrivando ad anticipare il desiderio stesso, fino a sostituirsi alla volontà del figlio.

Le punizioni, anche quando concepite, non sono mai realizzate, d’altronde sarebbe insopportabile la vista di un figlio che paga le conseguenze dei propri sbagli… Gli elogi smisurati, anche se non meritati, sono invece sempre elargiti in abbondanza, con l’erronea convinzione che il bambino possa diventare migliore per il semplice effetto della parola. Di conseguenza i figli sono sempre meno chiamati a render conto delle proprie azioni, consapevoli che, qualsiasi cosa facciano, saranno sempre difesi a spada tratta.

Prendiamo l’esempio del ragazzo che trascura volontariamente i compiti scolastici per dedicarsi ad attività di tutt’altro genere o semplicemente per coltivare ozio e pigrizia. Frequentemente sentiamo genitori e insegnanti ripetere la solita litania “ lui è brillante, estremamente intelligente, dotato di capacità superiori a tanti coetanei con rendimento scolastico migliore… se solo studiasse sarebbe il primo della classe!”. Premesso che al nostro ragazzo svogliato non interessa diventare il primo della classe, per quale motivo dovrebbe impegnarsi seriamente se il suo ozio viene costantemente ripagato con tanto di complimenti e lodi? Sa di essere intelligente e questo gli basta. Nient’altro.

Chiaramente chi pronuncia queste affermazioni lo fa con l’intento di stimolarlo ad impegnarsi… ma cosa succederebbe se, impegnandosi seriamente, il ragazzo non raggiungesse i risultati brillanti di cui tutti sono certi? Darebbe prova della sua incapacità e non riuscirebbe a sostenere il peso della delusione altrui. Meglio quindi continuare ad essere valorizzato per il potenziale inesistente e crescere senza acquisire abilità vere: il vantaggio immediato lo autorizza a rimandare la questione al futuro.

Benché possa sembrare un’esagerazione, quello che vi descrivo è il modello educativo moderno per cui i genitori, spinti da un reale amore smisurato verso il figlio, perdono di vista gli effetti collaterali dell’eccesso, finendo così per ottenere le conseguenze peggiori con le più sante intenzioni.

Di quali effetti si parla?

Una persona che evolve con la consapevolezza che tutto gli sia dovuto in quanto speciale per il solo fatto di esistere, incorrerà inevitabilmente in problemi nella gestione delle relazioni con i coetanei prima, amorose poi, e lavorative successivamente. Possono insorgere difficoltà nel riconosce e rispettare le autorità (in fondo ha imparato in famiglia che l’autorità è colui il quale soddisfa ogni suo capriccio) fino a dover far fronte ad “inconvenienti” più o meno gravi con la legge, che però non saprà gestire, poichè i genitori sono soliti risolvere i problemi che il principino causa fuori dal contesto familiare. Crescono così senza responsabilità e senza capacità aggiungerei.

Si, perché un bambino che cresce senza sperimentare i propri limiti, le proprie incapacità e frustrazioni, non sarà in grado neanche di superarle… e quando farà i conti con se stesso scoprirà di non conoscersi veramente e di essere sprovvisto degli strumenti necessari per far fronte alle difficoltà della vita.

Sarà una persona che non ha coltivato se stessa, non ha costruito la propria autostima imparando dagli errori e dalle sconfitte, perciò il rischio che possa crollare davanti ad una difficoltà è altissimo (delusione d’amore, mancata integrazione nel gruppo di amici, rimproveri a lavoro, ecc…) fino a sfociare nella rottura dell’illusione della sua superiorità innata, con conseguente manifestazione di sintomatologie depressive.

La lista delle possibili conseguenze è ancora lunga, soprattutto se consideriamo le psicopatologie che affliggono i ragazzi cresciuti in queste famiglie: disturbi d’ansia, disturbi alimentari, episodi psicotici come forma di evasione dalla realtà familiare, fobia sociale, depressione, uso di droghe e alcool per sedare le emozioni spiacevoli che saranno vissute ormai come insormontabili, per citarne solo alcune.

Tali genitori non devono essere per alcuna ragione accusati o giudicati, soprattutto se teniamo conto che il loro comportamento è motivato dal desiderio di non far vivere ai figli le difficoltà che hanno dovuto sopportare (magari perché cresciuti famiglie con modelli di interazione autoritari) e non far sperimentare loro il dolore delle ferite che ancora oggi disinfettano. Per ragioni varie stanno costruendo una trappola e, che ne siano consapevoli o meno, non sempre è facile uscirne con le proprie forze.

Elbert Hubbart scrive: “Quando i genitori fanno troppo per i loro figli, i figli non faranno abbastanza per se stessi” .

E allora come possiamo intervenire?

Senza dubbio è importante considerare che, se tali genitori si reputano in grado di affrontare gli ostacoli della vita, è perché hanno dovuto farci i conti, sbattere la testa contro le proprie rigidità, sono caduti ripetutamente prima di imparare a camminare e hanno dovuto ricevere mille colpi prima di sapersi difendere.

Senza mettere in dubbio le lezioni di vita imparate, sarebbe utile riflettere sul fatto che un sano processo di crescita prevede l’inevitabile confronto con i dispiaceri della vita, le sconfitte e l’elaborazione di tutte le emozioni negative ad esse correlate. Evitare oggi tali stati spiacevoli, conduce alla costruzione della debolezza di domani.

Come fare?

Ce lo insegna l’evoluzione naturale dell’uomo: lasciare che i figli cadano mentre imparano a camminare ma senza mai perderli di vista, così che l’adulto resti un punto di riferimento stabile, pronto ad intervenire in aiuto del figlio quando necessario. E risolvendo diversamente le paure legittime di un genitore.

L’unico modo per venirne fuori è passarci nel mezzo.” R. Frost

 

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