Cari colleghi psicologi…

“E’ strano quante cose bisogna sapere, prima di sapere quanto poco si sa.”  W. Churchill. 

 

Sempre più frequentemente mi confronto con la perplessità di colleghi psicologi e psicoterapeuti che vengono a conoscenza di una realtà forse ridicola, senza dubbio da non sottovalutare.

 

Mi riferisco ad un atteggiamento popolare molto diffuso: l’improvvisato sedicente psicologo. L’atteggiamento di colui il quale sostiene fermamente (sulla base dell’esimia esperienza quotidiana) che per essere psicologi sia superfluo investire dieci anni in esami e valutazioni, lauree, specializzazioni di ogni genere, pratica clinica e percorsi di crescita personali.  Condizione necessaria è il dono divino, perché “psicologi si nasce”, ed egli “capisce le persone anche solo guardandole”,  in fondo “siamo tutti un po’ psicologi”… quante volte ascoltiamo queste affermazioni, assumendo la tipica espressione da sopracciglio sollevato e gocciolina sospesa sulla fronte?

Quante volte l’ascoltiamo, mentre  davanti ai nostri occhi scorrono veloci centinaia di ricordi di serate passate in compagnia di pile di volumi consumati da appunti e sottolineature? (sospiro). Ma fin qui nessun problema, tutti penseremmo: “Ah, beata ignoranza!”.

Costoro si autoconferiscono l’autorizzazione ad offrire “diagnosi” al povero malcapitato di turno che, disperato, finisce per crederci. Il malcapitato arriva perciò in seduta con il dubbio di essere pazzo, poiché il non-psicologo ha letto su Internet la definizione di Disturbo Bipolare, di Delirio Paranoico o Fobia Specifica e così, per concedersi attimi di gloria, gli ha attribuito un’etichetta puntualmente sbagliata.

Il tutto unito all’arroganza tipica di chi non può concedersi professionalità, delicatezza e linguaggio terapeutico. Questi “leggono” il non verbale, ma attribuiscono al comportamento altrui proprio quel significato che fa loro comodo attribuire. La pseudodiagnosi diventa così un mezzo ignobile per offendere qualcuno o, peggio, alterarne la serenità solo per soddisfare una sorta di delirio di onnipotenza.

Perchè sto dedicando il mio tempo ad un argomento così povero, quando potrei parlare di tanti argomenti ben più alti?

Beh, perché la specialità di questi individui è applicare tale pseudoscienza a chi, come noi, investe la propria esistenza a migliorare abilità e preparazione. E noi lo facciamo con l’unico obiettivo di aiutare chi reputa di aver bisogno delle nostre competenze per migliorare la propria vita, che si tratti di psicopatologie o di semplici difficoltà. Preferisco in questa sede evitare di citare le scurrilità a noi riservate.

Senza cadere nella scorrettezza di attribuire etichette diagnostiche a chi abusa del nostro titolo, mi piace incoraggiare i colleghi a sviluppare sentimenti di tenerezza per questi individui. Ho avuto la fortuna di constatare ripetutamente che basterebbe entrare nelle loro vite per renderci conto di quanto sia  importante attribuirsi un’identità che non gli appartiene. Sarebbe troppo doloroso accettare la propria.

A tal proposito voglio spendere qualche parola a favore dei miei colleghi perplessi. Quando ci ritroviamo, nostro malgrado, a confrontarci con queste tristi realtà, l’istinto professionista ci spinge a far pratica di indifferenza (molta pratica, a quanto pare) e ad orientare tutte le nostre energie su ciò che per noi conta davvero: il benessere del paziente. E questo lo condivido pienamente.

Non solo, sono fermamente convinta che la qualità più coltivata di uno psicologo debba essere l’umiltà di mettersi sempre in discussione e di non sentirsi mai definitivamente arrivato. Perché noi non arriviamo mai, siamo sempre in viaggio, sempre orientanti alla scoperta e al progresso, all’evoluzione di noi stessi, come uomini e come psicologi.

Cari colleghi, facciamo quindi pratica di indifferenza, impariamo ad essere inoffensibili, a far tesoro delle critiche costruttive e a riuscire a sorvolare su chi pensa di poter sconfiggere la propria ignoranza attraverso l’inopportuna arroganza.

Dobbiamo accettare i nostri limiti e quelli altrui. Dobbiamo imparare ad aver pietà di chi tenta di ostacolarci. Alleniamoci alla resilienza e utilizziamo le offese come trampolino di lancio e come motivazione a far di più e meglio. E dobbiamo essere grati a chi, pur non volendo, ci aiuta ad essere migliori.

Per concludere, è mio dovere sottolineare che l’abilitazione alla professione a noi conferitaci, ci obbliga a tener conto di un codice deontologico che siamo tenuti a rispettare poiché tutela noi e i nostri utenti. Vi invito perciò a valutare meticolosamente le situazioni che ricordano quella descritta, ponderare gli effetti di questi interventi inappropriati e, se lo ritenete opportuno, appellarvi al Consiglio dell’Ordine Nazionale degli Psicologi per segnalare questi casi di abuso di professione, come ricorda l’articolo 8 del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani.

Art. 8  Lo psicologo contrasta l’esercizio abusivo della professione come definita dagli articoli 1 e 3 della Legge 18 febbraio 1989, n. 56, e segnala al Consiglio dell’Ordine i casi di abusivismo o di usurpazione di titolo di cui viene a conoscenza. Parimenti, utilizza il proprio titolo professionale esclusivamente per attività ad esso pertinenti, e non avalla con esso attività ingannevoli od abusive.

18 febbraio 1989, n. 56 . Ordinamento della professione di psicologo .

1.Definizione della professione di psicologo. La professione di psicologo comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attività di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo, agli organismi sociali e alle comunità. Comprende altresì le attività di sperimentazione, ricerca e didattica in tale ambito.

3.Esercizio dell’attività psicoterapeutica. 1. L’esercizio dell’attività psicoterapeutica è subordinato ad una specifica formazione professionale, da acquisirsi, dopo il conseguimento della laurea in psicologia o in medicina e chirurgia, mediante corsi di specializzazione almeno quadriennali che prevedano adeguata formazione e addestramento in psicoterapia, attivati ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1982, n. 162, presso scuole di specializzazione universitaria o presso istituti a tal fine riconosciuti con le procedure di cui all’articolo 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica. 2. Agli psicoterapeuti non medici è vietato ogni intervento di competenza esclusiva della professione medica. 3. Previo consenso del paziente, lo psicoterapeuta e il medico curante sono tenuti alla reciproca informazione.

 

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