SOFFRO DUNQUE CRESCO
Amore malato. Serenità, questa sconosciuta.
(seconda parte)

Allacciandomi al tema dell’articolo precedente, ti racconto perché chi soffre per una relazione malata non riesce a fare a meno della sofferenza e non conosce serenità.

Senza dubbio non si tratta di essere poco intelligenti o colti. La sofferenza in amore è trasversale ad ogni ceto sociale, scolarità, età, cultura ed epoca. Suppongo esista una correlazione con la maturità di un individuo. Con maturità mi riferisco al percorso di vita individuale, alla capacità di imparare dagli errori e sentirsi responsabili delle proprie scelte. Ma la direzione della causalità sarebbe difficile da individuare.

È corretto affermare che un individuo particolarmente maturo sappia evitare le relazioni malate? Oppure chi vive relazioni sane sviluppa con il tempo una certa maturità?
Ancora una volta la descrizione del fenomeno si fonda su una causalità di tipo circolare piuttosto che lineare, circolarità in cui gli elementi si influenzano reciprocamente diventando unità, e non è possibile individuare un prima e un dopo.

Personalmente sono una sostenitrice del potere del dolore: chi ha avuto un’esistenza travagliata, possiede un quid in più rispetto a coloro i quali, per fortuna o per scelta, non ne abbiano mai fatto esperienza. Altra storia per chi cerca attivamente la sofferenza, ma questo argomento meriterebbe uno spazio a parte.

Prima caratteristica delle relazioni malate (delle altre ne parlerò successivamente): il passato.

Tendenzialmente cerchi quelle situazioni che in qualche modo sono familiari, quelle che ripropongono delle emozioni o condizioni già vissute.

Anche se ti hanno fatto soffrire, tendono a tornare.
E, bada bene, non perché il destino sia particolarmente crudele con te, ma perché le SCEGLI.
Più o meno consapevolmente, ma le scegli tu.
Senza una vittima, l’aguzzino non può esistere.

Quasi sempre scegli queste storie automaticamente, istintivamente, anche quando pensi di aver avuto un’infanzia scevra di sofferenza.

E quell’istinto non è “l’amore che ti rapisce” ma è il passato che torna.
È il passato che condiziona la scelta presente.

L’attrazione verso un uomo non è altro che una parte di te che ti ricorda di essere viva, presente, perché ti collega con il vissuto, con la bambina che è in te.
È uno schema che si ripete, che ti ha permesso di crescere, di imparare ad essere ciò che sei oggi. Chiamalo istinto, inconscio, processi cognitivi automatici. Qualunque sia il nome, nasce dentro di te e solo tu ne hai il dominio.

Fin qui tutto torna. Il punto cruciale è un altro.

Quando sei consapevole di aver sofferto, hai lasciato il passato alle spalle e lo ricordi senza troppo coinvolgimento, perché scegli le relazioni difficili? Sei forse masochista?
No, il dolore non piace a nessuno.
Lo scegli perché lo conosci bene.
Lo riconosci.

Perché quando soffri ti senti a casa, a tuo agio. Potresti scegliere una relazione sana, ma ti annoia.
“Non mi travolge. È perfetto, davvero, non ha alcun difetto ma manca qualcosa”.

Sai cosa manca in quell’uomo sano? Il legame con il tuo passato.

Quell’uomo bravo, innamorato e fedele ti annoia perché ti propone una vita serena. Nuova.
Una vita nella quale non sai starci, perché non la conosci. La serenità è una sensazione nuova che non ti incuriosisce, perché non sai proprio maneggiarla.
Non sapresti da dove iniziarne la gestione, cosa aspettarti.

La verità è che la serenità non va gestita. Va meritata. Goduta. Va afferrata con forza. Quando vivi una relazione serena devi solo prenderti tutta la meraviglia che questa ti offre.

Quante volte la serenità ti è passata davanti e le hai voltato le spalle, solo perché non attivava quel formicolio nello stomaco? Quante volte hai incontrato una brava persona, in pace con le proprie emozioni, che sa quello che vuole e, guarda caso, vuole solo te?

Con lui però non c’è gusto perché non ti chiede di lottare, di competere con altre donne, di elemosinare complimenti e attenzioni, di farti notare. Insomma non ti fa soffrire. E dopo aver passato una vita a cercare di conquistare l’ammirazione e l’attenzione di tuo padre (o della tua figura di riferimento), all’improvviso arriva un estraneo e ti dice “per me sei perfetta così”.

Eh no, caro. Lei ha sofferto una vita intera per essere “perfetta così”.
Se le neghi quella sofferenza, cancelli la sua identità.

Condividi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.